Déja vu

Ho finito due giorni fa di rileggere un libro di racconti di Carver. Li ho già letti tutti, ma a volte li riprendo e riassaporo, qualche tempo fa mi soffermavo sulle poesie, questa volta ho scelto, spinta dal peso lieve (era da portare in viaggio in treno), "Se hai bisogno chiama".

Il penultimo racconto mi ha lasciato dentro uno strano torpore, la sensazione di sapere esattamente come ci si senta in una storia come quella vissuta in quelle pagine. In carne, ossa, emozioni.

Volevo copiare il brano qui, poi mi sono accadute altre cose, ho vissuto anzichè scrivere, e mi sono fermata di nuovo a pensare.

E’ morta una mia zia, stanotte. Era molto anziana, malata da tempo, ma il distacco lascia sempre una brutta sensazione di vuoto, come uno spostamento d’aria impetuoso che fa vacillare. Un altro dé jà vu, ancora mi  ritrovo, in chiesa durante il rosario, a pensare a cosa resterà di noi quando saremo morti. Rientrando in macchina, scorgo una coppia di giovani di fronte alla vetrina illuminata di un negozio di mobili.

Cose già viste, vite già vissute, esperienze già fatte. Eppure ci deve essere un modo per cambiare il finale della storia. I giovani si sposeranno, compreranno i mobili visti in vetrina, litigheranno, come tutti, ma non si lasceranno, si abbracceranno un giorno, quando una loro zia avrà terminato di vivere, si chiederanno il senso della loro vita, e risponderanno l’affetto, l’amore.

L’affetto che fa vivere per sempre chi amiamo nei nostri ricordi. Anche se ci si lascia, si divorzia, si muore, si sbaglia.

Déja vu, i ricordi vivranno per sempre.

Déja vu.

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